Il miracolo del tempo trascorso a scuola: quello che ci cambia. Non é mai abbastanza

Per un intero anno non aspettano altro: l’ultimo di giorno di scuola. E invece, già da una settimana prima che le scuole chiudano, specie i maturandi, stessa cosa per gli adolescenti che stanno per lasciare le scuole medie inferiori, cominciano i giorni della nostalgia. Per i più piccoli, prossimi al primo anno di scuola superiore, il distacco dal mondo dell’infanzia e della preadolescenza é ravvisabile nei baffetti e nelle forme, al maschile e al femminile, che cominciano la loro meravigliosa deformazione.

Ma cambia anche qualcosa dentro: “una studentessa che sta per lasciare la scuola media, l’altro giorno mi ha commossa – racconta Pina Cassano, professoressa di matematica – Mi ha detto che ha fatto i conti e ha calcolato il tempo che ha trascorso con me: è di gran lunga superiore al tempo trascorso con sua madre. Mi sono commossa nel rivalutare il tempo di tre anni trascorso con gli stessi alunni”. Un miracolo che si avvera da poco più di un secolo, grazie alla scuola pubblica italiana. Da rivendicare e difendere con le unghie e con i denti, perché è merito di un paese che ha ritrovato anche la propria unità, grazie all’opera di milioni di insegnanti e studenti, mai abbastanza paghi del lavoro quotidiano di educazione alla cittadinanza e alla democrazia, in un tempo e in un paese che non dà l’esempio. E forse è anche per questo che uno dei più importanti sentimenti che in questi giorni ci tiene compagnia, insegnanti e alunni, nelle aule mezze vuote, con le cattedre e fiori come dono e mentre si svolgono le interrogazioni fiume di chi bisogna “salvare”, è il sentimento della nostalgia. Quel viaggio emotivo attraverso la propria memoria: di noi insegnanti che già nel vedere le aule mezze vuote avvertiamo il senso di un silenzio insopportabile e per gli studenti è già il racconto di “quel che mi mancherà, dopo cinque anni di scuola qui sono anche gli odori, le mazzate e le cazzate, che ho paura non tornino più”. Clara, neo maturanda in un liceo dice che in quest’ultimo anno, “prima del grande lancio nel vuoto, tutti mi raccontano che gli anni così spensierati non torneranno più”. Ed é nostalgia di luoghi, di tempi felici e relazioni significative. “Avrei voglia di vivere tutto da capo” dice Luigi, prossimo al diploma alberghiero. “Sono triste, perché finisce un tempo, ma soddisfatta per quanto ho vissuto, nel bene e nel male, in questo luogo” sostiene Alessia. “Una volta, a un concerto, il cantante disse che dove lascia il cappello, lì c’é la sua presenza e la musica. Io penso che sui banchi, sui muri, nei cessi della scuola – dice Stefano – ciascuno di noi studenti lascia il segno del suo passaggio. In noi, invece, resta il solco che lasciano gli insegnanti, spesso insopportabili, ma se penso che non vedrò più quella testa della prof di fisica, 5 per 5 anni, sto male!”.

Perché la nostalgia, anche della scuola, è un sentimento complesso e ambivalente, che rievoca esperienze passate, che non può essere mai disgiunto, per chi la scuola la pensa come indispensabile trampolino di sostegno e non solo di lancio, come esperienza della vertigine per un altrove da conquistare, nonostante il mondo e il paese che lasciamo ai nostri figli e studenti, a cui non evitare mai l’ansia per qualcosa che ci spinge a voler rimpiangere tempi passati.

Pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno del 7 giugno 2024

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