La scuola che non fa Politica é come le donne candidate per finta

“Prof, io ho un problema: a casa mio padre sta con quelli di Fratellanza d’Italia, mio cognato con le Stelle ma all’Europa chi devo votare?”. Così ha chiesto Erasmo, neo-diciottenne e prossimo alla sua “prima volta in quel baule”. E in effetti, lui, come tanti, troppi ragazze e ragazze, che per la prima volta dovrebbero votare, sostengono di “non capirci niente di politica”. E questo inquieta me, loro docente, perché per almeno tre anni mi sforzo ogni giorno di leggere e cercare di comprendere l’attualità, compresa quella politica.

Ma basta poco, nulla, per distruggere il senso del mio dire, che è di pari a quello di tanti altri prof che si sforzano, nonostante tutto, di insegnare l’impegno e la partecipazione democratica alla vita del paese che gli stiamo lasciando in eredità. “Sia mio padre che mia madre non votano dagli anni Novanta, mi dicono che anche se andiamo a votare, non cambia nulla”. Questo è il ritornello comune. “La politica fa schifo” sostiene Federica. “Ma è normale, se è vero quello che si dice, che la Meloni si è candidata alle europee e poi non va, se è votata? E ce jé a pigghiaj pu cul?”. E, nonostante la disaffezione dei prossimi cittadini votanti non è per nulla priva di senso, loro, ma anche noi, spesso ci sentiamo presi per i fondelli. Quanto è difficile insegnargli che questa loro forzata lontananza dalla politica aiuta il potere a scegliere e garantire per loro, ciò che molto spesso garanzia non é. “Ma perché esiste davvero una differenza fra destra e sinistra?”, “Lei dice che il fascismo è una merda, e invece, vede come funzionano le cose dove stanno quelli che comandano. Lì non succedono le cose brutte che accadono nel nostro paese. Io non sono per la democrazia”.

Antonello ha il padre detenuto ed è “incazzato nero, perché mio padre sta in carcere per le sigarette e poi quelli che uccidono vengono accolti in Italia con i tappeti rossi. Ieri, per obbedire a lei, ho visto il telegiornale e ho visto la presidente che andava a fare le riverenze a uno che ha ucciso. E poi io devo andarli anche a votare a questi? E in questi anni che mia madre si sta uccidendo per mandarci a scuola, perché non sono venuti i politici a darci ‘na mano?”. “Vado in palestra e sta l’istruttore candidato, entro nel bar, e la figlia del barista si è candidata. Sa che le dico, prof, mo mi candido pure io, chissà questi mi danno il diploma!”. “A proposito, ha ragione Andrea, non è che c’è qualche candidato che dà i diplomi al posto dei buoni benzina, che velosc lo voto!”.

E non sai da educatore se ridere o piangere, ma lo stato di (dis)interesse per la politica da parte dei ragazzi e delle ragazze è denso di retorica pessimistica, quella utile alle destre (la storia docet), cerco di insegnare loro, cresce facendo leva sull’ignoranza e il disinteresse dei cittadini. Perché di ciò si tratta, di ignorare. E’ falso che i ragazzi e le ragazze non sanno: sanno ma ignorano volutamente, perché conoscono bene la legge del Gattopardo. “D’altronde, mica serve parlare delle votazioni per capire in che stato siamo! A quelli gliene frega qualcosa di noi giovani? Le sembra normale che mentre stiamo preparando gli esami di Stato dobbiamo fare anche i test universitari? E io devo anche andare a votarli a questi?”.

Pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno del 24 maggio 2024

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