La straordinarietà dell’ordinario: il manifesto politico di Wenders. A partire dai cessi

Perfect days (Giappone, 2023)
Regia: Wim Wenders
Cast: Kôji Yakusho, Min Tanaka, Tokio Emoto, Aoi Yamada, SayurI Ishikawa, Arisa Nakano, Yumi Asô, Tomokazu Miura
Produzione: MASTER MIND LTD, Spoon Inc., Wenders Images GbR
Distribuzione: Lucky Red
Genere: Drammatico
Durata: 124’

La vita, quella di sempre, fra lavoro, pochi incontri, le letture preferite, le persone che ci scelgono. La fatica, quella che ti fa abbassare il capo, ma con lo sguardo sempre rivolto all’alto. Lo straordinario nell’ordinario della vita di Hirayama (stesso nome del protagonista dell’ultimo film di Ozu, Il gusto del sakè). Lui lavora come addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo. La sua vita è ordinaria e scandita da abitudini che lo vedono spesso solo, parlare pochissimo. In compenso, ha una grande passione per i libri e la musica. I suoi veri amici sono gli alberi.

Wenders, sin dall’apertura del film, ci introduce in una città tutto sommato ordinata, intricata di strade, ma da subito ci fa addentrare nelle vie intime e nasc oste del suo straordinario protagonista, interpretato magnificamente da Kôji Yakusho (premiato a 76° Festival di Cannes come Miglior attore). Hirayama si fa cinema, nel linguaggio, col suo corpo, attraverso i riti di inizio e fine giornata. E’ nella bellezza delle umili e piccole cose che egli stesso diventa poesia, sogno onirico. Tempo e spazio. La Tokyo contemporanea è solo una delle vie che Wenders utilizza per svelarci la bellezza di una straordinarietà che si compie in un viaggio intimo, di cui il protagonista condivide anche il non senso, sapendo che l’esistenza è un gioco a tris, fra sconosciuti. Nel frattempo la pioggi,a le luci, le presenze/assenze, le luci, il traffico. La musica: ciascuna delle canzoni presenti nella colonna sonora sono parte integrante della bellissima sceneggiatura (Takuma Takasaki, Wim Wenders), dicono quello che le lunghe sequenze in silenzio ammettono, per mezzo delle parole dei Velvet Underground, Patti Smith, The Animals e Van Morrison, Otis Redding, Nina Simone, fino alle pagine di William Faulkner, Patricia Highsmith e Aya Koda. Il regista affida gran parte del lavoro alla fotografia di Franz Lustig, che satura il giorno e adombra le notti di Hirayama. La restituzione è l’elevazione del giorno nella sua motivazione e dignità. E’ questo che fa crescere, anche al ritmo dei bonsai, ma permette a generazioni di padri e figli, nonne e nipoti, zii e nipoti di ricredersi in un mondo che è fatto da tanti mondi, compreso quello abitato da chi crede di non avere nulla. Ma a cui non manca niente.

Perfect days potrebbe essere un manifesto politico per i futuri capi di governo, probabili sindaci e presidenti di regioni o di Comunità europee. Non si tratta di rincorrere una modernità fine a se stessa, ma ritrovare anche Nell’”analogico” e nelle pellicole da sviluppare tutto ciò che occorre per non dimenticare. E imparare dalla storia, non quella di chi ha letto un milione di libri, piuttosto da quella di chi non sa nemmeno parlare. Non è nostalgia del passato, quella di Wenders, che a differenza di quelli che hanno sempre la testa nel Sol dell’avvenire, fa i conti con ciò che la storia ha impresso e ha anche collezionato in scatole numerate, quelle che archiviano la nostalgia di un tempo che, però, passa. L’uomo resta. In un tempo e in uno spazio precisi (straordinaria la scelta del formato 4:3, che per le narrazioni delle giovani generazioni diventa addirittura quello ancora più ristretto dell’inquadratura di un cellulare). La sua ombra, insieme a quella degli altri esseri umani, li rende più robusti in immagine, consistenza. Comunità. E’ in questo luogo reale che Wenders afferma con forza che “il futuro succederà la prossima volta”. E non solo in occasione delle elezioni di qual si voglia natura. Perché “se mai niente cambiasse, sarebbe assurdo”. La Politica dei giorni perfetti.

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