Un’unica arma per la pace: la scuola. La testimonianza di Ruslan, da Charkiv

Ruslan da due anni non va a scuola. Ha la stessa età dei miei studenti dell’ultimo anno di liceo, e da “cinquecentododici giorni – dice in inglese – sono alla ricerca di mia sorella, aveva sette anni. Ho perso mia madre e mio padre”. Originario di Charkiv, Ruslan, come migliaia di altri bambini, bambine e adolescenti, da due anni non vanno a scuola. Perché non esistono più le scuole in Ucraina.

E dall’Ucraina ho provato a pensare ai miei studenti, in questi ultimi giorni prima della ripresa, dopo le vacanze di Natale. Se nella disperazione di Ruslan ho letto l’inquietudine di un adolescente, divenuto adulto a causa della guerra e delle perdite, il suo racconto mi ha fatto riflettere sul senso della mancanza. E’ questa l’unica possibilità offertaci per imparare a fare i conti con quello che ogni giorno ciascuno ha. Con il diploma, Ruslan avrebbe trovato senz’altro lavoro nella sua terra martoriata, poteva sperare di andare in Germania, come moltissimi suoi amici. “E invece, non mi muovo da qui, fino a quando non ritroverò mia sorella. E’ la disperazione più grande. Dormivamo insieme, e quella sera sono entrati in casa i soldati, hanno incappucciato mia madre e mio padre e poi li hanno ammazzati due giorni dopo, poco lontano da casa. Hanno portato via mia sorella di sette anni”. Adesso ne ha nove quasi di anni la sorella di Ruslan, sono trascorsi due anni di guerra in Ucraina, sotto l’occhio vigile di un Occidente incapace di riportare la pace. La stessa, che invece fa dormire sonni tranquilli e fa trascorrere questi ultimi giorni di vacanza (per lo più dedicate al sonno) dei miei studenti.

E se in tanti, fra studenti bambini e adolescenti, in queste ore si fa il countdown triste per l’inizio del nuovo anno solare anche a scuola, Ruslan e migliaia di altri ragazzi e ragazze, in Ucraina, e in moltissime, troppe, parti del mondo, invece, soffrono perché sanno che la loro vita resterà per sempre monca di una parte importante dell’esistenza degli umani: la conoscenza. E’ questo ciò che renderà la vita degli studenti ucraini, russi, congolesi, palestinesi, israeliani, diversa da quella di noi, figli, compresi anche madri e padri di un Occidente che ha tanto, troppo e che non facendo l’esperienza della mancanza, in questa parte di mondo ricco, che gode di decenni di pace, disinteressato ed egoista, si farà promotrice di una pace  che non esiste per davvero. Pensavo, chissà se si potesse organizzare un Erasmus fra i miei studenti e quelli ucraini che da due anni non vanno a scuola. Ho immaginato quello che potessero dirsi, scambiarsi, a cominciare dalla musica che i nostri ascoltano e il rumore, quello vero e più forte di quello del surround delle nostre sale cinema e tv a casa, delle bombe. Dei miei studenti che potessero dire dei loro ritardi continui a scuola e invece dell’attesa dei bambini e delle bambine ucraine, che i loro padri, madri, nonni, maestri e professori, un giorno, ritornino in quelle che dovranno essere ricostruite come scuole. Perché neanche quelle ci sono più, come gli ospedali, le loro case.

I luoghi in cui “questi giorni eravamo felici per l’attesa della festa dell’Epifania. Che dono sarebbe – dice Ruslan – se potessi riabbracciare mia sorella. Forse verremmo in Italia, a Bari c’è posto? Mi iscriverei lì a scuola”.      

Pubblicato sul Corriere del Mezzogiorno del 5 gennaio 2024

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